Piccolo Teatro Città di Ravenna

G.A.D. Gino Caprara & Laboratorio Italiano

RASSEGNA STAMPA


Sabato 31 Gennaio 1981

+ Villeggiature e smanie in canonica

Articolo relativo alla rappresentazione di "E gal dla checca" di sabato 31 gennaio 1981

Quando la schiera degli interpreti occupa... in verticale quasi tutta la locandina o, in scena, tre quarti del palcoscenico, è difficile che lo spettacolo risulti perfezionato in ogni sua piega. E ciò dispiace, specie per un gruppo che ha fama di essere ben oltre la posizione "en amateur". Parlo, è chiaro, del "Piccolo Teatro Città di Ravenna", diretto da Gino Caprara, che ci ha offerto al Mazzini la gustosissima intramontabile commedia di A. Testoni, "E gal d'la checca", quinta tappa della rassegna dialettale. Questa mia premessa nulla toglie, comunque, al divertimento che l'azione scenica ha "regalato" al pubblico - molti e ripetuti gli applausi - nè alla bravura degli interpreti principali.
In un'atmosfera di canonica fine '800, resa variegata dalla presenza di alquanti ospiti stravaganti (queste le figurette che andavano meglio definite e ridefinite, non escludendo un trucco più pertinente; parlo in particolare del maggiore e della baronessa), "sbarca" pieno di spleen - si sarebbe detto allora - un timido giovane, Cleto Albonetti, disamorato della vita, ma sapremo poi, dal passato interessante se non proprio eroico (l'attore Mauro Casadio, in parte e quasi sempre efficace).
Il parroco, don Egidio (e desidero subito sottolineare la eccezionale interpretazione di Roberto Battistini che mai ha travalicato la linea dell'amabilità, mai è scaduto nella macchietta, mantenendo costantemente una carica di umanità e quindi di credibilità anche quando la situazione, spinta al paradosso poteva sollecitare al farsesco; eccellente ripeto); il parroco, dicevo, cui Cleto è raccomandato dal migliore dei suoi vecchi amici, dopo un minimo di perplessità, lo accoglie generosamente.
Ha subito inizio, così, il "risanamento" fisico (e morale!) del giovane, risanamento cui partecipano, anche troppo entusiasticamente tutte le donne che intorno alla parrocchia ruotano. E qui, ossia in questo versante squisitamente femminile, i caratteri sono (o sarebbero stati) di una grande felicità e varietà: dalla Perpetua classicamente brontolona (la Tassoni, simpatico quel suo mugugnare da sorda - assai indovinata la scena delle candele -, più che il gridato di certe battute ad effetto) alla sorella del parroco (in sostituzione della Degli Esposti, Luisa Fiorentini, sempre all'altezza di ogni situazione per quella sicurezza professionale che giustamente le si riconosce, alla "figlia di Maria" Emilia, che pur fidanzata di un altro, completerà, sposandolo, la guarigione di Cleto. E poi la maestra di pseudointellettuale - come dice il demifisticatore o... mistificatore giornaletto socialista, non ultimo ingrediente della vicenda -, poi una baronessa, una giovane madre con figlia dal nome emblematico di Libertà.
Nè mancano un cappellano ciclista, affamato e sportivo (una parte invidiabile per ricchezza di humor; bene il Soprani), un arcivescovo, un socialista che comunque, staziona in parrocchia, un fidanzato fattore, un maggiore in ritiro, un campanaro spaesato e un coloratissimo corridore in bicicletta (del quale bisogna pur rilevare la coerenza iconografica con le immagini dell'epoca).
L'importanza di quelli che, secondo un pregiudizio glottologico da teatro dell'opera, vengono chiamati comprimari, non sarà mai sottolineata abbastanza (e questo anche per "gratificare" giustamente gli attori impegnati in non molte battute).